"L'Ultima Cena" di Salvador Dalì
National Gallery, 1955, 127x228 cm
In
questa opera (tra le più rappresentative di Salvador Dalì) l'autore affronta in
particolar modo il tema dell’arte sacra.
La
sua pittura oscilla fra il sacro ed il profano e, anche se ispirandosi
sicuramente all'affresco di Leonardo Da Vinci e ad altri esempi pittorici del tema topico dell’arte
sacra, sconvolge i canoni dell'iconografia tradizionale e utilizza simboli
esoterici difficili da interpretare.
I dodici
apostoli, che Gesù sta abbandonando ben prima della crocifissione, sono
collocati in modo perfettamente simmetrico attorno al Maestro; i loro volti
però non sono ben visibili poiché genuflessi in preghiera.
Alle
spalle del Cristo si intravede una figura umana a dorso nudo che simboleggia
Dio, il cui volto è invisibile. Si tratta di un palese richiamo ad un altro
soggetto dell’arte sacra, quello della trasfigurazione.
Ma è l'ambientazione la vera protagonista dell'opera:
la scena dell’Ultima cena si svolge infatti all’interno di un dodecaedro. Il poliedro che fa da sfondo alla scena ha quindi dodici facce: dodici come il numero degli apostoli.
Dalí accosta la figura del Cristo
a strutture matematiche, che, per così dire, servono a proiettare la vita
terrena di Gesù in una dimensione metafisica.
Richiesto di commentare il
quadro, l'autore parlò di una «cosmologia aritmetica e filosofica basata
sulla sublime paranoia del numero dodici». Il dodecaedro è uno dei cinque poliedri platonici
che il filosofo greco pone alla base di una fantasiosa cosmologia in grado di
dar conto della perfezione matematica dell'Universo. Se gli altri quattro
poliedri sono associati agli elementi base del cosmo (aria, acqua, terra,
fuoco), il dodecaedro è assunto da Platone come emblema della perfezione stessa
del cosmo, come essenza ultima delle sue armonie.
Tuttavia, se a proposito di
questa tela si deve parlare della paranoia di un numero, essa si riferisce
soprattutto al numero Φ, il "rapporto aureo", che i Greci intendevano come proporzione ideale.
Il quadro ha le dimensioni di un
rettangolo aureo e troviamo altri rapporti aurei sia tra gli elementi dipinti
sia all’interno della stessa figura del dodecaedro (il cui lato è sezione aurea
del raggio della circonferenza in cui può essere inscritto).
FONTI:
National Gallery, 1955, 127x228 cm
In
questa opera (tra le più rappresentative di Salvador Dalì) l'autore affronta in
particolar modo il tema dell’arte sacra.
La
sua pittura oscilla fra il sacro ed il profano e, anche se ispirandosi
sicuramente all'affresco di Leonardo Da Vinci e ad altri esempi pittorici del tema topico dell’arte
sacra, sconvolge i canoni dell'iconografia tradizionale e utilizza simboli
esoterici difficili da interpretare.
I dodici apostoli, che Gesù sta abbandonando ben prima della crocifissione, sono collocati in modo perfettamente simmetrico attorno al Maestro; i loro volti però non sono ben visibili poiché genuflessi in preghiera.
Alle
spalle del Cristo si intravede una figura umana a dorso nudo che simboleggia
Dio, il cui volto è invisibile. Si tratta di un palese richiamo ad un altro
soggetto dell’arte sacra, quello della trasfigurazione.
Ma è l'ambientazione la vera protagonista dell'opera:
la scena dell’Ultima cena si svolge infatti all’interno di un dodecaedro. Il poliedro che fa da sfondo alla scena ha quindi dodici facce: dodici come il numero degli apostoli.
Dalí accosta la figura del Cristo
a strutture matematiche, che, per così dire, servono a proiettare la vita
terrena di Gesù in una dimensione metafisica.
Richiesto di commentare il quadro, l'autore parlò di una «cosmologia aritmetica e filosofica basata sulla sublime paranoia del numero dodici». Il dodecaedro è uno dei cinque poliedri platonici che il filosofo greco pone alla base di una fantasiosa cosmologia in grado di dar conto della perfezione matematica dell'Universo. Se gli altri quattro poliedri sono associati agli elementi base del cosmo (aria, acqua, terra, fuoco), il dodecaedro è assunto da Platone come emblema della perfezione stessa del cosmo, come essenza ultima delle sue armonie.
Tuttavia, se a proposito di
questa tela si deve parlare della paranoia di un numero, essa si riferisce
soprattutto al numero Φ, il "rapporto aureo", che i Greci intendevano come proporzione ideale.
Il quadro ha le dimensioni di un
rettangolo aureo e troviamo altri rapporti aurei sia tra gli elementi dipinti
sia all’interno della stessa figura del dodecaedro (il cui lato è sezione aurea
del raggio della circonferenza in cui può essere inscritto).
FONTI:
L'argomento è interessante e ben impostato, la parte geometrica è buona ma poteva essere approfondita. Il vero problema è la formattazione del testo come appare nel mio browser: esce dalla colonna e il formato caratteri non sembra ben calibrato.
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