I FONDAMENTI DELLA LETTERATURA SECONDO HILBERT
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Euclide |
- Per ogni coppia di punti esiste un segmento che li unisce.
- Ogni retta è illimitata, nel senso che ogni segmento è estendibile.
- Per ogni punto e ogni segmento esiste un cerchio che ha il punto come centro e il segmento come raggio
- Gli angoli retti sono tutti uguali.
- Se due rette formano da una parte di una trasversale angoli coniugati interni la cui somma è minore di due retti, esse si incontrano da quella parte della trasversale.
L'assiomatizzazione di Hilbert era puramente formale, e non definiva in alcun modo i concetti di «punto», «retta» e «piano»: al loro posto si potevano utilizzare nozioni arbitrarie, purché soddisfacenti alle proprietà enunciate dagli assiomi, ed esse avrebbero automaticamente soddisfatto anche alle proprietà enunciate dai teoremi. Hilbert illustrò questo aspetto in maniera memorabile un giorno che, insieme ai colleghi coi quali aveva assistito a una conferenza di geometria a Halle, sedeva al bar della stazione di Berlino in attesa del treno per tornare a Königsberg: in quell'occasione, disse appunto che i teoremi della geometria dovevano continuare a valere anche se, al posto di «punti», «rette» e «piani», si fosse parlato di «tavoli», «sedie» e «boccali di birra».
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Raymond Queneau |
Nel 1976 Raymond Queneau (Le Havre, 21 febbraio 1903 – Parigi, 25 ottobre 1976), scrittore francese talmente affascinato dalla matematica da trarre spesso ispirazione da essa e da diventare membro della Società Matematica Francese nel 1948, forse dopo essere stato pure lui al bar e aver
gustato un boccale di troppo, lo prese in parola e pubblicò, nel terzo dei fascicoli della Biblioteca Oulipiana, un lavoro paradossale su I fondamenti della letteratura secondo David Hilbert, nel quale presentava un'assiomatica della letteratura ottenuta sostituendo i concetti geometrici di «punto», «retta» e «piano» con quelli linguistici di «parola», «frase» e «paragrafo».
Facendo riferimento all’opera di Hilbert, Queneau prova ad esplorare i fondamenti della letteratura utilizzando le strutture assiomatiche proprie della matematica, parlando in tal modo di assiomi testuali che partono dagli enti primitivi "parola", "frase" e "paragrafo". Così come Hilbert raggruppa gli assiomi in cinque gruppi, lo scrittore opera nella stesso modo.
Fonte utilizzata
Facendo riferimento all’opera di Hilbert, Queneau prova ad esplorare i fondamenti della letteratura utilizzando le strutture assiomatiche proprie della matematica, parlando in tal modo di assiomi testuali che partono dagli enti primitivi "parola", "frase" e "paragrafo". Così come Hilbert raggruppa gli assiomi in cinque gruppi, lo scrittore opera nella stesso modo.
- I primi due postulati di Euclide, così come gli assiomi di incidenza di Hilbert, si prestano facilmente allo scopo. Da essi apprendiamo, anzitutto, che per ogni coppia di parole esiste una e una sola frase che le contiene entrambe. Ora, che si possa formare una frase con due parole è evidente: la verifica di Queneau è che, date le parole «la» (articolo) e «la» (nota), esiste la frase «la violinista dà il la al cantante». Ma è sorprendente che di tali frasi ce ne sia una sola! Ad esempio, se si pensa a due parole come «ramo» e «lago», una volta scritta una frase che le contenga entrambe, come «quel ramo del lago di Como», tutte le altre frasi come «quel ramo del lago di Garda», o «questo ramo del lago di Como», non sono che pseudofrasi, da rigettare in base all'assioma: ovvero, e per fortuna, non si scrivono mai due volte I promessi sposi.
- Gli assiomi successivi affermano che ogni frase contiene almeno due parole, e che ci sono almeno tre parole che non stanno nella stessa frase. Da un lato, dunque, espressioni come «Sí», «No», «Mah?», «Boh?», «Dio!», «Madonna!» e simili, non sono frasi. E, dall'altro lato, il fatto che il Manzoni abbia fallito nei suoi insistenti tentativi di comporre frasi che contenessero tutte le parole della lingua italiana, non è da imputare non a una sua insufficiente prolissità, ma solo a una assiomatica impossibilità. A proposito dei due assiomi in questione, si deve notare che essi sono metafrasi, ma non frasi: altrimenti andrebbero contro il precedente assioma, che impedisce a due frasi diverse di contenere le stesse parole (nella fattispecie, «frase» e «parole»).
- Il teorema che si dimostra a partire dagli assiomi di ordine afferma sorprendentemente che tra due parole ce ne sono sempre infinite altre, benchè a prima vista sembri che ogni frase ne contenga soltanto un numero finito. La soluzione di Queneau all'apparente dilemma è strettamente geometrica: secondo lui, sull'esempio della vecchia geometria proiettiva, dobbiamo far appello a «parole all'infinito». Ovvero, la maggior parte delle infinite parole che il teorema assicura essere presenti in ciascuna frase, stanno appunto all'infinito e non sono leggibili a distanza ravvicinata: il che attribuisce all'oscurità proiettiva della letteratura, e non all'incapacità espressiva dei letterati, la condanna dei testi letterari a dire sempre molto meno di quanto avrebbero potuto e dovuto.
- Per l'assioma di parallelismo, infine, data una frase e una parola non contenuta in essa, esiste una e una sola frase che contiene quella parola, e non ha parole in comune con la frase data. Ad esempio, prendiamo dal Primo Canto della Divina Commedia la frase «Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura, ché la diritta via era smarrita», e la parola «amara»: la frase «Tant'è amara che poco è più morte, ma per parlar del ben ch'io vi trovai, dirò de l'altre cose ch'io v'ho scorte» soddisfa i requisiti dell'assioma, perché non contiene parole contenute nella prima frase, e non ci sono nel Primo Canto altre frasi che contengano la parola «amara» (gli altri canti non contano, perché come una retta e un punto fuori di essa determinano un unico piano, così una frase e una parola non contenuta in essa devono determinare un unico canto.
Ottimo lavoro, che ha come punto di forza la raccolta ed elaborazione delle informazioni, mancano però utili link di approfondimento.
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